Domani è il 25 Aprile.
Giro a naso in su e sono un patito di targhe, perché dietro un pezzo di marmo c’è sempre una storia da raccontare ed è bello immaginare che dietro un palazzo anonimo, o una dimora antica, o un parco, possa nascondersi qualcosa di inatteso.
Tra le targhe, quelle che mi hanno sempre colpito di più sono quelle dei partigiani, che raccontano una pagina orgogliosa e degna con parole severe, forse un po’ retoriche ma verissime; c’è sempre dentro “onore”, “sangue”, “sacrificio”, e si possono solo intuire la forza d’animo, il coraggio e la paura, tante volte anche la sfiga.
Il 25 Aprile è il giorno della Liberazione di Milano e siamo abituati ad immaginarlo come il fischio finale della guerra. Un giorno di festa, ma anche di morti: mi vengono sempre in mente proprio quelli che se ne sono andati proprio nelle ore in cui tornavano pace, libertà e democrazia.
Penso ad Adolfo Ortolan, detto Dolfino, partigiano comunista, sedici anni, ucciso nell’ultima imboscata delle brigate nere a Canizzano, Treviso. Penso a Raffaele Pieragostini, operaio genovese, fuggito in un campo dalle parti di Pavia: i tedeschi lo avevano caricato su un furgone, come pedina di scambio per la fuga. Penso a Gina Galeotti Bianchi, staffetta comunista, incinta, caduta dalle parti di Niguarda: stava andando a trovare alcuni compagni.
Domani penserò a tutti quelli che se ne sono andati il giorno della Liberazione, mentre i tedeschi si arrendevano e Milano si stava liberando. Gente che aveva lottato fino all’ultimo e che non si è goduta nemmeno un momento, per un contrattempo di poche ore: una strana idea morire il 25 Aprile.